Testo di Valentina Eccher
La semplicità è difficile: bisogna lavorare duro per rendere semplice l’architettura. Ci vuole cura, studio del dettaglio e qualche piccola magia. Intervista a Michel Carlana di Carlana Mezzalira Pentimalli.
All’idea di semplicità che si può attribuire a un’opera, è sotteso un processo generativo tutt’altro che semplice, ma che, attento all’insieme, genera un prodotto, per certi versi, prossimo al naturale. In questo tipo di opere, com’è stato per la Scuola di Musica di Bressanone progettata dallo studio Carlana Mezzalira Pentimalli, è facile comprendere come ogni pensiero generativo sia stato sostanziato da una volontà di connessione e cura. Connessione al contesto, alla storia, alla cultura del luogo e allo stesso tempo alle esigenze dell’uomo contemporaneo.
Attraverso questa ricerca, la Scuola di Musica ha prodotto forza vitale e rigenerazione per il tessuto urbano della città, risultando un elemento fondamentale per costruire un ponte fra contemporaneo e antico. Ma non si avverte solo questo entrando nella scuola o attraversando il suo “grande recinto”: il senso di naturalezza e radicamento è manifestato da un’infinita cura. Cura, in ogni fase progettuale, per il dettaglio che ha permesso di portare sulla scena architettonica la semplicità, non banale, dove non si avverte sforzo né artificio.

Dall’interessante confronto con Michel Carlana, in rappresentanza dello Studio, è possibile penetrare il flusso dei ragionamenti e delle intuizioni nel momento in cui i progettisti hanno cominciato a dare forma e materialità alla loro opera. È risultato chiaro fin da subito quanto la scelta del cemento fosse una scelta di coerenza, anzi una necessità nel rispetto di un’idea forte che nasceva dall’intuizione del gruppo di progettazione di fondere, nel progetto di concorso, urbanistica, ingegneria, architettura e arte in modo che risultassero indissolubili.
In quest’ottica, la tecnica costruttiva sarebbe risultata anch’essa inscindibile. L’altra idea generativa del gruppo di progettazione era quella di far ritornare l’architettura alla sua natura di servizio verso la città, proponendo un “grande vuoto pubblico”: un vuoto ambivalente, in quanto interno all’edificio ma esterno alla scuola e alle sue molteplici funzioni, e allo stesso tempo un vuoto come quello concepito dalla filosofia taoista, carico di potenzialità e possibilità.
Nel momento in cui lo Studio ha cominciato a ragionare sulla materialità dell’edificio, senza mai dimenticare l’economicità complessiva, si è trovato a giocare in un territorio esplorato e studiato con passione quattro anni prima per il concorso, vinto, della biblioteca civica. Dall’analisi del tessuto urbano era emersa una vivace attrazione verso i numerosi “dispositivi pubblici” presenti a Bressanone, organizzati come recinti agganciati agli edifici di rappresentanza con porte e giardini di attraversamento, che incarnavano appieno l’idea di vuoto pubblico e davano preziosi indizi sulla materialità della loro realizzazione.

Parlando con l’architetto Carlana, emerge naturale come al momento di porsi la domanda se l’edificio dovesse avere o meno un colore, se dovesse avere o meno un intonaco proprio, il riferimento ai recinti fosse stato dirimente. La struttura con il suo vuoto pubblico doveva avere “facciate a metà strada tra quelle di un edificio tipico del luogo, decorate ed elaborate, e quelle dei recinti cittadini, con finiture molto grezze e pastose”. A quel punto il cemento è risultato la chiave per poter esprimere i due aspetti: raffinato, associato a un tema decorativo, e grezzo, associato al tema della pastosità.
Nel momento di scegliere la cromia di questa materialità, spiega Carlana, lo Studio era consapevole che la scelta di un qualsiasi colore sarebbe stata errata ma la scelta del cemento con inerti di porfido con pigmenti rossi e neri sarebbe stata la più coerente. Di nuovo, emerge la coerenza con l’idea progettuale di partenza: quella di dare uno spazio pubblico alla città. Come l’edificio poteva assolvere al massimo grado all’aspirazione di essere pubblico? La risposta che ha portato a concepire la Scuola, con le sue cromie, era che il progetto dovesse essere “un progetto di suolo”, in modo da poter appartenere intimamente alla città.
Tutto il centro storico di Bressanone è pavimentato in porfido e l’edificio non poteva che farne parte. La meticolosità delle prove di mescola del cemento con inerti di porfido e pigmenti, trattato superficialmente con una martellinatura leggera di pochi millimetri, ha prodotto un materiale fortemente affine al porfido cavato nella vicina Caldaro.
Dal materiale fino alla scelta urbana la coerenza è conservata. “Il materiale – continua nel suo racconto il progettista – non è un vezzo estetico ma è stato fatto di quel colore perché è un pezzo di suolo e in questo modo l’edificio è diventato un elemento ordinatore per la città”.
L’accostamento di geometrie con finiture martellinate e lucide del cemento ha generato superfici aperte al mutevole, cangianti con la luce atmosferica, quasi tessili al tatto, e ha permesso ai progettisti di affrontare il tema della decorazione. La scelta decorativa delle superfici è stata maturata durante il periodo di ricerca dei tre autori per la realizzazione del loro libro su Quirino De Giorgio (editore Park Books, Zurigo, 2019), architetto veneto che ha attraversato con la sua opera l’intero Novecento e ha permesso loro di sondare la forza tipicamente italiana della piena coincidenza fra struttura, architettura e arte.
Negli interni della scuola i progettisti hanno lavorato molto con la carta da parati e le decorazioni; l’edificio è molto robusto, anche per l’ortogonalità del masterplan, ed è sembrato molto interessante – continua Carlana – “addomesticarlo applicando in questa stanza pubblica la più significativa carta da parati”.
Una decorazione particolare perché non è ottenuta aggiungendo ma sottraendo con la martellinatura del cemento. “Quindi non è un orpello – sottolinea – in quanto scavata nella materia artigianalmente, conferendo quella piacevole imprevedibilità del lavoro fatto dall’uomo.”

Questo tipo di decorazione ci sembrava – ritorna l’autore – “la cosa più coerente per includere il tema dell’arte in questo spazio pubblico, che era la prima vera stanza dell’edificio”.
Tutta questa dedizione alla finitura di facciata ha comportato per lo Studio un grandissimo lavoro per far rientrare i costi nei parametri medi delle Scuole di Musica in Alto Adige. “Non è una scuola di lusso” – continua Carlana – “ma abbiamo spostato il budget in modo che le finiture e i materiali fossero di altissimo livello. Aver disegnato tantissimi dettagli e deciso moltissime cose prima ha permesso di ottimizzare i costi in fase di esecuzione”.
Per fare in modo che, alzando lo sguardo, si potesse percepire la cornice come un elemento forte e per evitare l’accumulo di sporco e le inevitabili colature, è stato ritenuto necessario dai progettisti chiudere i giunti fra gli elementi con silicone.
“È stato usato silicone grigio ed è stato lavorato per assomigliare a una malta, trattandolo in superficie con un rullo per dargli rugosità e togliere l’effetto sintetico, per non disturbare l’atmosfera dell’edificio”.
La scrupolosità da cesellatori si manifesta nella soluzione studiata per realizzare la decorazione. Con un complesso sistema di dime in positivo, sono riusciti a rendere la lettura dell’asportazione del materiale superficiale omogenea, senza avere margini più evidenti come sarebbe successo se lo scalpello avesse disegnato i bordi delle geometrie della decorazione.
La progettazione meticolosa e i preziosi dettagli invisibili possono sfuggire al passante, ma hanno fatto in modo che si possa riconoscere in questa architettura-struttura – che non sembra temere lo scorrere del tempo – la sua appartenenza a quel luogo.
Detto con le parole di Carlana:
“Così la tecnica costruttiva diventa culturale perché la riconosci e la capisci diventandone parte”.